Diritto Canonico I

Grazia e carità, pastorale e carisma non si possono realizzare senza l’ordine della giustizia; questa è come l’alveo entro il quale la varietà dei doni, dei compiti o delle semplici qualità umane concorrono ad edificare la comunità ecclesiastica senza distruggerne l’unità.[…] La Chiesa è dunque una unità carismatica e istituzionale; conoscerla a fondo richiede conoscere anche il ruolo del diritto nella sua vita.

Indice

Cap. 1 Il Diritto Canonico

1-Chiesa e diritto

2-Diritto divino e diritto umano

3-Storia del diritto canonico

Cap. 2 Fonti del diritto canonico

1-Norme e atti giuridici

2-Norme canoniche

3-La Legge

4-La consuetudine

5-Norme amministrative

6-Statuti e regolamenti

7-Atti amministrativi singolari

8-Atti giudiziali

9-Atti giuridici privati

Cap. 3 I Soggetti nell’ordinamento canonico

1-La persona fisica

2-La persona giuridica

Grazia e carità, pastorale e carisma non si possono realizzare senza l’ordine della giustizia; questa è come l’alveo entro il quale la varietà dei doni, dei compiti o delle semplici qualità umane concorrono ad edificare la comunità ecclesiastica senza distruggerne l’unità.[…] La Chiesa è dunque una unità carismatica e istituzionale; conoscerla a fondo richiede conoscere anche il ruolo del diritto nella sua vita.

Cap. 1 Il Diritto Canonico

  • Come realtà, diritto è l’oggetto della giustizia. La giustizia è la virtù che comanda di dare a ciascuno quel che è suo (unicuique suum tribuere): quello che è giusto
  • Ma per potere dare ad ognuno quel che gli è dovuto si rende necessario determinare in cosa consiste. Perciò la scienza che studia e determina quel che è giusto in concreto si chiama anche diritto: insieme di leggi che reggono l’ordine giuridico di una società

1 Chiesa e Diritto

La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, il Popolo di Dio, l’assemblea dei credenti in Gesù Cristo, ecc. Essa è anche la società fondata da Cristo per continuare nel mondo la Sua opera di salvezza. La Chiesa è la società costituita di organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e un elemento divino: l’organismo sociale della Chiesa è a servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica per la crescita del corpo

2 Diritto Divino e Diritto Umano

Essendo la Chiesa una società di uomini fondata da Gesù Cristo, le principali e prime attribuzioni di diritti (e doveri) in essa hanno il loro fondamento nella volontà del suo Fondatore, sono di diritto divino. Cristo ha conferito alla sua Chiesa certe caratteristiche, finalità, mezzi e regole di funzionamento che sono immutabili e che costituiscono il nocciolo fondamentale e perpetuo del diritto canonico: il diritto divino. Questo nucleo fondamentale del diritto canonico lo troviamo nella Rivelazione (la Parola di Dio, scritta o tramandata per tradizione). “Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli”. Nel diritto canonico ci sono anche elementi di diritto umano i quali interpretano e applicano quello divino in ogni momento storico.

3 Storia del Diritto Canonico

Primo millennio

i Vescovi emanavano norme e decisioni per le loro comunità, nelle quali nascevano pure delle consuetudini e tradizioni particolari. Man mano che cresce il prestigio del papato, anche di fronte al potere secolare, si afferma una tendenza centralizzante che comporta l’affermazione delle collezioni fatte sotto l’auspicio dei Papi su quelle particolari. Momento importante di questo processo sarà la riforma gregoriana (sec. XII).

Periodo classico (1140-1325)

Pietra basilare di questo processo è il Decreto di Graziano (1140 circa): un’ampia compilazione portata a termine dal maestro bolognese Graziano, nella quale egli intese riportare in maniera coerente e unitaria una grande mole di testi canonici, spesso contrari fra loro, sulla base dei commenti dottrinali dell’autore, il quale appunto mise alla sua opera il titolo Concordantia canonum discordantium (Concordanza dei canoni discordanti).

  1. le Decretali di Gregorio IX (1234), chiamate anche Liber Extra, che sono una compilazione in cinque libri fatta da S. Raimondo di Penyafort;
  2. il Liber Sextus (1298) promulgato da Bonifacio VIII a complemento delle Decretali;
  3. le Decretales Clementinas, una raccolta cominciata sotto Clemente V, ma promulgata da Giovanni XXII nel 1317.

Epoca moderna (fino al Concilio Vaticano I)

Tra le integrazioni vanno annoverati:

  • i Decreti del Concilio di Trento (1545-1565) dai quali parte una profonda riforma della disciplina ecclesiastica.
  • Gli atti dei Pontefici in serie cronologiche dette Bollari;
  • Le numerose disposizioni e decisioni dei dicasteri della Curia romana, organizzata da Sisto V nel 1588.
  • le Decisioni del Sacro Tribunale della Rota Romana
  • le Risoluzioni della Sacra Congregazione del Concilio

Si sviluppa così una crescente mole di norme scritte poco sistematica e difficile da adoperare. Nel campo giuridico il razionalismo e l’ugualitarismo danno origine al fenomeno del costituzionalismo e alla codificazione del diritto civile, come espressione della supremazia della legge, nei paesi europei continentali e in quelli dell’America latina, che in questo periodo acquistano la loro indipendenza. Nel Concilio Vaticano I, convocato da Pio IX, viene definito il dogma dell’infallibilità pontificia.

Epoca contemporanea

Definita soprattutto dalla codificazione del diritto canonico, e più di recente dal Concilio Vaticano II, le cui direttrici di ordine giuridico sono state recepite nella vigente legislazione canonica specie nei due Codici che attualmente reggono la Chiesa latina e le Chiese orientali. Fu però Benedetto XV, successore di Pio X, che nel 1917 promulgò il Codex Iuris Canonici (CIC), che si sarebbe perciò chiamato anche Codice piano-benedettino.

Il Concilio Vaticano II fu convocato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 -1965. La dottrina conciliare costituisce, in effetti, la principale fonte d’ispirazione del Codice attuale promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983

  1. La considerazione della Chiesa come Popolo di Dio nel quale tutti i membri condividono l’uguale dignità e responsabilità di figli di Dio e la vocazione alla santità. [statuto giuridico di base comune a tutti i fedeli, nel quale vengano definiti e garantiti i loro diritti e doveri]
  2. Riflessione sul Collegio episcopale come soggetto della potestà suprema della Chiesa accanto al Romano Pontefice.
  3. Dottrina sulla sacramentalità dell’episcopato e sul ministero dei Vescovi, che ha significato un chiarimento sulle diverse vie e modi di partecipazione alla potestà ecclesiastica.
  4. Approfondimento conciliare sulla Chiesa come comunità sacerdotale (ogni fedele già col battesimo partecipa del sacerdozio di Cristo), la cui struttura organica si realizza a partire dai sacramenti, le virtù ed i carismi,
  5. Affermazione del ruolo che spetta ai laici nella missione della Chiesa, principalmente attraverso le loro iniziative apostoliche nel seno della società civile, esige un’adeguata organizzazione pastorale.
  6. La dottrina del Concilio sui rapporti fra la Chiesa e la società civile afferma la reciproca indipendenza tra Stato e Chiesa e centra i loro rapporti nella dignità della persona e nella difesa dei suoi diritti fondamentali (specie quello di libertà religiosa).

1959 Revisione del Codice continua nel 63, 65, 67, 72, 77: Discussione plenaria nel 1981 Approvato nel 1982 Promulgato il 25 gennaio 1983: Il CIC consta di 1752 canoni divisi in 7 Libri che trattano:

  1. delle norme generali
  2. del Popolo di Dio
  3. della funzione d’insegnare della Chiesa
  4. della funzione di santificare della Chiesa
  5. dei beni temporali della Chiesa
  6. delle sanzioni nella Chiesa
  7. dei processi

Questo Codice vige nella Chiesa latina.

Le 21 Chiese cattoliche orientali hanno da sempre goduto di un diritto particolare che rispecchia le tradizioni liturgiche e disciplinari di ciascuna di esse. L’elaborazione di un Codice comune ebbe inizio nel 1929; (4 testi promulgati da Pio XII tra il 1949 e il 1957). 1972 Paolo VI istituisce un commissione. Dopo averlo rivisto e introdotto le modifiche ritenute opportune è promulgato il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (CCEO) in data 1 ottobre 1990. Esso è diviso in 30 Titoli ordinati secondo l’importanza della materia con un totale di 1546 canoni. Entro questo quadro comune ogni Chiesa dovrà poi sviluppare un suo diritto particolare rispondente alle proprie tradizioni.

Parallelamente ai lavori di codificazione postconciliare, si mise in opera l’elaborazione di una specie di Codice comune a tutte le Chiese (latina e orientali), che doveva raccogliere le norme fondamentali del diritto canonico per tutta la Chiesa. Di questa Legge Fondamentale della Chiesa si fecero due progetti successivi; ma i problemi di ordine teologico e di opportunità posti al riguardo di questa sorta di ‘Costituzione della Chiesa’, consigliarono di sospenderne l’esecuzione.

Non si deve, dunque, confondere diritto canonico con l’insieme delle regole scritte della Chiesa, delle quali a sua volta il Corpus rappresenta soltanto il blocco centrale.

Cap. 2 Fonti del diritto canonico

Il concetto di fonte giuridica fa riferimento appunto alla determinazione di ciò che è giusto. Fonte del diritto sono:

  • le persone (individui o gruppi) che con i loro atti e comportamenti (determinano ciò che è giusto in una data società)
  • Dio stesso, ordinatore della creazione e della Redenzione (diritto divino)
  • legislatore umano (la Chiesa e le sue comunità, i giudici)
  • qualsiasi soggetto capace di esercitare diritti e compiere doveri
  • una legge/contratto/sentenza/decreto, ecc. (atti tipici a mezzo dei quali viene stabilito quel che è giusto)

1 Norme e atti giuridici

Bisogna distinguere le due principali tipi di fonti: le norme e gli atti giuridici.

Norma in senso generico è la regola (scritta o meno) che determina il diritto per un’insieme di casi somiglianti tra loro.

Atto giuridico è quello che definisce ciò che è giusto in un caso concreto.

Il diritto non è costituito soltanto dalle regole poiché accanto ad esse esistono altri elementi o fattori che servono a precisare il diritto.

2 Norme canoniche

La norma può essere definita seguendo S. Tommaso come una ordinazione razionale promulgata dall’autorità per il bene comune. Le caratteristiche della norma:

  1. Razionalità (nota principale della norma); deve essere congruente (non contraria almeno) al diritto divino. La norma dev’essere possibile, necessaria o conveniente per il bene comune e comandare cose lecite. Una norma irrazionale è sempre ingiusta e quindi non obbliga di per sé, anche se talvolta la si debba osservare per evitare un male maggiore. 
  2. Emanata dall’autorità competente, cioè da chi abbia la potestà sufficiente a vincolare i destinatari. Ogni tipo poi di norma richiede una potestà e competenza specifiche; [Papa e Collegio episcopale emanano leggi per tutta la Chiesa; Vescovo per diocesi]
  3. Deve servire al bene comune: Il fine della Chiesa e la sua legge suprema (c. 1752) si identificano con quello della Redenzione: la salvezza delle anime. Non significa però che debbano essere le stesse per tutti. La giustizia esige di dare a ciascuno quello che gli è dovuto, non di dare a tutti lo stesso. La Chiesa è una realtà di ordine soprannaturale, ed è strumento di salvezza, perché in lei agisce lo Spirito Santo. Questo opera secondo il suo divino beneplacito e la sua azione multiforme sulle anime e istituzioni deve essere accolta e rispettata come un bene per tutto il corpo (bene comune). 
  4. Promulgazione. Affinché possa essere obbedita, la norma deve poter essere conosciuta con esattezza. La promulgazione è il modo in cui una norma si fa ufficialmente conoscere ai suoi destinatari.

3 La legge

Il tipo più comune di norma giuridica è la legge: norma generale, scritta, promulgata da chi ha potere legislativo.

Nella Chiesa si distinguono la potestà (possono essere esercitate da uno stesso organo: il Papa, Concilio, Vescovo):

  • legislativa
  • esecutiva o amministrativa
  • giudiziaria (c. 135 § 1)

La legge è la norma canonica più importante che prevale di regola su tutte la altre. Il Codice si occupa dei requisiti e caratteristiche della legge canonica nei cc. 7-22.

a) Tipi di leggi

1) Legge divina e legge umana: il nucleo fondamentale del diritto canonico è costituito dalle regole di diritto divino (naturale e positivo) che riguardano la Chiesa. Nella misura in cui una legge umana raccoglie e formula un comando di origine divina, essa partecipa della superiore e universale forza vincolante di questo. Le leggi che hanno origine nell’autorità del legislatore umano si chiamano leggi puramente ecclesiastiche e hanno la forza obbligante che il legislatore gli abbia voluto dare. Il c. 11 stabilisce che sono tenuti alle leggi puramente ecclesiastiche:

  1. i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti dopo il battesimo,
  2. che godono di sufficiente uso di ragione
  3. hanno compiuto il settimo anno di età, a meno che il diritto non dica altro.

Non sono quindi tenuti alle leggi ecclesiastiche i battezzati non cattolici.

2) Leggi generali e leggi particolari

A seconda di quanto sia estesa la loro applicazione, la legge è generale (comune, universale) oppure particolare (peculiare, speciale). Ciò dipende in primo luogo da chi sia il legislatore. Soltanto il Romano Pontefice e il Collegio episcopale (Concilio ecumenico) possono dare leggi universali (per tutta la Chiesa), mentre il Concilio particolare, il Vescovo diocesano o la Conferenza episcopale possono soltanto dare leggi particolari (entro il loro territorio). In altro senso le leggi sono generali o particolari a seconda di chi ne sia il destinatario. Se il legislatore indirizza la legge a tutti i membri della comunità, essa è generale o comune, se invece la rivolge solo ad un gruppo entro la comunità, la legge è particolare o speciale.

3) Legge territoriale e legge personale

Per il modo in cui si determinano i destinatari della legge essa può essere territoriale o personale, a seconda che interessi coloro che risiedono in un dato luogo, oppure certe persone a motivo di un fatto personale (militari, religiosi, emigranti, ecc.). Oggi il criterio più comune è quello territoriale, per cui le leggi si presumono territoriali (cc. 12 e 13).

4) Leggi irritanti e leggi inabilitanti (c. 10)

In diritto canonico gli atti contrari alla legge, anche se illeciti, non sono necessariamente nulli: bisogna che la stessa legge lo dica espressamente.

  • È irritante la legge che stabilisce la nullità di certo atto (si veda ad esempio il c. 1087)
  • È inabilitante la legge che stabilisce l’incapacità o inabilità di qualcuno a qualche cosa (si veda ad esempio il c. 842 § 1). Non di rado queste leggi sono fondate nel diritto divino.

b) Promulgazione

secondo il c. 8,

  • le leggi universali vengono promulgate tramite la loro pubblicazione “nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis“; 
  • le leggi particolari nel Bollettino ufficiale corrispondente (della diocesi, della Conferenza episcopale).

Ma si possono promulgare leggi anche in altri modi (per editto, ad esempio): l’importante è che siano fatte pubbliche in modo che i loro destinatari le possano conoscere con precisione.

Dal momento della pubblicazione ufficiale della legge fino all’entrata in vigore è solito trascorrere un tempo di vacazione (vacatio legis): tre mesi per le leggi universali e uno per quelle particolari, salva previsione contraria. Quindi una è la data della legge e altra quella della sua entrata in vigore.

c) Retroattività

Come si dice nel c. 9 le leggi riguardano le cose future, non le passate, quindi di regola non hanno valore retroattivo, ma lo possono avere se così è stabilito; ad esempio, la legge penale è retroattiva se più favorevole al delinquente. D’altro canto non si deve confondere la retroattività con il fatto che la legge pretenda di modificare situazioni già maturate, il che può essere proprio il suo scopo.

4 La consuetudine

La consuetudine è una norma generale stabilita dall’usanza in una comunità: consuetudini e usanze fanno parte della vita degli uomini e delle comunità, stabiliscono modelli di condotta comunemente accettati come giusti e pertanto devono essere rispettate. (secondo legge/ contro legge /preter legge)

Perché la consuetudine abbia valore di norma giuridica, occorre che:

  1. sia ragionevole (come ogni norma) (c. 24) non lo è la consuetudine contraria al diritto divino né quella che è espressamente riprovata dal diritto umano;
  2. venga osservata in modo stabile da una comunità come norma di giustizia (comune convinzione che è vincolante -c. 25-)
  3. sia approvata dal legislatore, nel senso che l’abbia fatta salva oppure non l’abbia riprovata espressamente. Così avviene ad esempio quando la legge dice ‘salvo consuetudine contraria…’ (c. 23);
  4. sia un uso osservato per il tempo stabilito (c. 26).

La consuetudine viene derogata da una legge o un’altra consuetudine che le siano contrarie;

5 Norme amministrative

Sono le norme generali emanate dagli organi amministrativi con potestà esecutiva, al fine di precisare il disposto delle leggi. Sono quindi accessorie e inferiori alla legge; pertanto non possono cambiarla o contraddirla, e nella misura che lo facciano sono invalide (cc. 33 § 1 e 34 § 2). Possono essere decreti generali esecutivi o istruzioni.

  1. Decreti generali esecutivi. Vengono definiti nel c. 31 come quelli “con cui sono appunto determinati più precisamente i modi da osservarsi nell’applicare la legge o con cui si urge l’osservanza delle leggi”. Promulgati dall’autorità oppure quando cessa la legge alla quale si riferiscono (33 § 2). Esistono pure decreti autonomi, non legati cioè ad una legge, come quelli emanati dai dicasteri della Curia romana sulle materie di loro competenza. Neppure questi (e cioè le Congregazioni, in primo luogo) possono contraddire o modificare le leggi.
  2. Istruzioni. Sono regole simili ai decreti ma rivolte a coloro che sono incaricati di eseguire la legge o farla eseguire, di regola i funzionari (c. 34).

6 Statuti e regolamenti

Sono due tipi di norme che si riferiscono alla vita e allo svolgimento delle attività degli enti e delle riunioni o assemblee (un concilio, una associazione).

  1. Statuti: norme che regolano la vita degli enti (associazioni, istituti, consigli, fondazioni), dei quali definiscono “il fine, la loro costituzione, il governo e i modi di agire” (c. 94 § 1); direttamente vincolano soltanto coloro che fanno parte dell’ente (membri, soci) o lo governano, ma indirettamente interessano pure quelli che si mettono in rapporto con tali enti (c. 94 § 2).
  2. Regolamenti: norme che regolano i convegni o raduni di persone (un sinodo, un’elezione) e ne determinano l’ordine da seguire (chi presiede, chi deve essere convocato, l’ordine del giorno, come si prendono le decisioni, ecc.). Coloro che prendono parte in un raduno sono tenuti al regolamento stabilito (c. 95).

7 Atti amministrativi singolari

Abbiamo già visto che, diversamente dalle norme, gli atti giuridici sono fonte del diritto nei casi singoli. Gli atti amministrativi sono quegli atti giuridici destinati dall’autorità esecutiva ad un concreto soggetto (c. 36 § 2). Sono cioè le decisioni o risoluzioni prese dall’autorità di fronte a casi particolari. Si devono formulare per scritto (c. 37). Hanno lo scopo di applicare la legge al caso singolo, e quindi non possono contraddirla, a meno che a darli non sia lo stesso legislatore (c. 38). Ma ci sono casi in cui l’atto è emanato proprio perché la legge non venga applicata in un caso concreto (ci riferiamo ad esempio alla dispensa, c. 85).

Ci sono molti tipi di atti amministrativi a seconda del loro contenuto (nomine, grazie, mandati, licenze, concessioni, permessi, ecc.). Da un punto di vista formale il c. 35 ne distingue tre tipi: decreti, precetti e rescritti.

  1. Decreto singolare: (c. 48) atto che: a) è dato dall’autorità competente; b) per provvedere o decidere un caso particolare (c. 52); c) secondo le norme del diritto; d) senza bisogno di una petizione fatta da qualcuno. È il tipo comune di atto amministrativo. Il decreto deve essere notificato per scritto agli interessati, indicando l’autorità che lo ha dato ed i motivi della decisione (cc. 37 e 51)
  2. Precetti singolari: decreti che hanno carattere imperativo, ovvero che comandano o proibiscono direttamente ad un singolo qualcosa stabilita nella legge (c. 49). Particolare importanza hanno i precetti penali nei quali l’autorità minaccia con una pena l’inadempienza del precetto (c. 1319).
  3. Rescritti: atti singolari, scritti tramite i quali l’autorità amministrativa competente, su petizione di qualcuno, concede una grazia (privilegio, dispensa, licenza, ecc.) (c. 59). In principio chiunque ha il diritto di chiedere e può ottenere una grazia (c. 60); il diritto di petizione è infatti un diritto fondamentale (c. 212 § 2). Caratteristiche specifiche del rescritto sono: a) Che risponde ad una richiesta motivata dell’interessato (chiamata preces) b) Che è un atto di grazia in favore del richiedente o di un terzo, qualcosa cioè che spetta all’autorità giudicare se si deve concedere o meno.

Ci sono due tipi particolari di grazia che è solito concedere con un rescritto: il privilegio e la dispensa.

  1. Il privilegio: grazia concessa a particolari dal legislatore in forza della sua potestà di legiferare: una specie di legge singolare in favore di certe persone che prevale su quella generale (c. 76). Il privilegio è personale se viene concesso direttamente a certe persone fisiche o giuridiche (parrocchia, confraternita, famiglia, individuo); è reale se concesso ad un luogo (santuario, chiesa, cappella). Il privilegio è in principio perpetuo, in quanto termina soltanto quando si estingue il soggetto o il luogo privilegiato.
  2. La dispensaÈ “l’esonero dall’osservanza di una legge puramente ecclesiastica in un caso particolare” (c. 85). Infatti, il diritto divino è inderogabile per cui possono essere soltanto dispensate norme di diritto umano, e non tutte poiché secondo il c. 86 non possono essere dispensate le leggi “in quanto definiscono quelle cose che sono essenzialmente costitutive degli istituti o degli atti giuridici”: elementi cioè senza i quali non possono esistere veramente (così, ad esempio, non può essere dispensato il consenso delle parti di un contratto o del matrimonio). Il legislatore può dispensare dalle sue leggi; il Vescovo diocesano può dispensare anche dalle leggi emanate dalla suprema autorità della Chiesa, eccetto quelle penali e processuali e quelle la cui dispensa è specialmente riservata alla Santa Sede o ad altra autorità (vedi, ad esempio, il c. 291); l’Ordinario del luogo può dispensare dalle leggi diocesane e da quelle dei Concili regionali o provinciali o della Conferenza episcopale; gli altri chierici possono soltanto dispensare nei casi specifici determinati dalla legge o per delega (vedi, ad esempio, i cc. 1079, 1080, 1196).

8 Atti giudiziali

Gli atti della potestà giudiziaria sono anche fonte del diritto in quanto essi determinano quel che è giusto in un caso controverso, sulla base di quanto disposto nelle norme generali. Di regola i processi finiscono con una sentenza oppure con un decreto del giudice nei quali si decide il quesito posto dalle parti. Ma ci sono anche altri atti del giudice lungo il processo che creano o modificano il diritto, e sono quindi fonte giuridica (ad esempio, quando il giudice accetta la domanda dell’attore nasce il diritto del convenuto ad essere chiamato in giudizio come parte).

9 Atti giuridici privati

Altra fonte di grande rilievo sono gli atti giuridici che compiono i singoli fedeli nell’uso della loro autonomia privata, al fine di stabilire e organizzare i loro rapporti con gli altri (un contratto, la professione religiosa, il matrimonio). Questi atti che nascono dalla volontà dei soggetti privati si chiamano in generale atti o negozi giuridici (cc. 124-128).

Essenziale per qualsiasi atto giuridico è che esso sia un atto veramente umano, ovvero venga realizzato da un soggetto capace che agisca con conoscenza e libera volontà (c. 124 § 1). L’atto compiuto da chi ne è completamente incapace, oppure per ignoranza o errore sulla sostanza, o senza libero consenso è assolutamente nullo. Oltre a questi elementi essenziali comuni, ogni atto può avere specifici elementi costitutivi (ad esempio, il sacramento dell’ordine è capace di riceverlo soltanto chi è di sesso maschile). Si ricordi che gli elementi costitutivi o essenziali non possono essere suppliti o dispensati dall’autorità (c. 86).

Cap. 3 I soggetti nell’ordinamento canonico

Soggetto del diritto è ogni essere capace di diritti e doveri e quindi di rapporti giuridici. Nell’ordinamento canonico è soggetto colui che è capace di diritti e doveri nella Chiesa. Ma parlare di capacità esige distinguere tra capacità di essere titolare di diritti e doveri (capacità giuridica), e capacità di esercitare i diritti e i doveri, cioè di realizzare atti con valenza giuridica (capacità di agire). Soltanto la persona umana che gode del sufficiente uso di ragione è capace di attività giuridica, ha capacità di agire. il nascituro, il demente, la parrocchia o una associazione, benché non possano agire per se stessi, possono tuttavia essere soggetti titolari di diritti e doveri: hanno capacità giuridica.

1 La persona fisica

Nella Chiesa, come in ogni società di uomini, ogni persona umana è capace di diritti e doveri; tuttavia soltanto coloro che si sono incorporati alla Chiesa grazie al battesimo sono fedeli, e hanno i diritti e doveri propri dei cristiani (c. 96).

Alle leggi puramente ecclesiastiche sono tenuti solo i cattolici che hanno compiuto 7 anni e godono dell’uso di ragione (c. 11). Secondo l’età (cc. 97-98) la persona è maggiorenne se ha compiuto i 18 anni. Fino ad allora è minorenne, e prima dei 7 anni lo si chiama bambino. Soltanto i maggiorenni godono del pieno esercizio dei loro diritti (capacità di agire); i minori invece possono solo agire rappresentati dai genitori o tutori.

2 Persona giuridica

Nel diritto canonico hanno senso solo enti e collettività che si propongono finalità e opere congruenti con la missione e vita della Chiesa: “opere di pietà, di apostolato o di carità sia spirituale sia temporale” (c. 114). Altri enti che hanno fini o svolgono attività aliene alla natura e missione religiosa della Chiesa potranno avere soggettività civile ma non canonica.

La Chiesa cattolica e la Santa Sede in quanto sono di istituzione divina, sono soggetti del diritto: hanno personalità giuridica per la loro origine indipendentemente da qualsiasi legge o autorità umana (c. 113 § 1). Invece gli altri enti ecclesiastici possono acquistare la personalità per legge o per decreto dell’autorità competente (c. 114 § 1).

Le persone giuridiche si possono anche unire e dividere in diverse maniere (cc. 121 e 122).

a) Corporazioni e fondazioni (c. 115) Quando il soggetto titolare dei diritti e doveri è una comunità di persone ci troviamo di fronte ad una corporazione; quando invece il soggetto è un’insieme di cose, un patrimonio, l’ente è una fondazione. La corporazione (comunità) deve essere integrata almeno da tre persone fisiche. È collegiale (collegio) se i suoi membri partecipano nelle decisioni più importanti, altrimenti è non collegiale.

La fondazione canonica è costituita da beni o cose (spirituali o materiali). Quando ha propria personalità giuridica si chiama fondazione autonoma, e agisce tramite i propri organi di governo (una o più persone fisiche od un collegio). Quando non ha propria personalità ma appartiene o è collegata ad una corporazione si chiama fondazione non autonoma (cfr. c. 1303).

b) Persone giuridiche pubbliche e private Una delle novità introdotte dal Codice del 1983 è la possibilità che esistano nella Chiesa enti privati, come risultato dell’iniziativa e responsabilità dei fedeli. Fino all’entrata in vigore del nuovo codice tutti gli enti riconosciuti erano pubblici, cioè costituiti dall’autorità. Le persone giuridiche pubbliche e quelle private si distinguono principalmente perché le pubbliche “vengono costituite dalla competente autorità ecclesiastica” e agiscono “a nome della Chiesa” (c. 116 § 1), quindi dipendono maggiormente dalla gerarchia poiché nella loro attività coinvolgono ufficialmente la Chiesa; le private invece nascono dall’iniziativa dei fedeli, che le governano sotto la propria responsabilità.